TRICOLORE, PER SEMPRE E NEI SECOLI
Mar 9th, 2023 | di administrator | Categoria: Garibaldi nel mondo
Di Angela Gadducci, giornalista e scrittrice
Mercoledì 8 febbraio, presso la Sala del Carroccio in Campidoglio, si è svolta una conferenza organizzata dall’Associazione Piemontesi a Roma dal titolo “Il Tricolore nei secoli”, dedicata alla storia della bandiera italiana: non una simbolica insegna di Stato, ma un vessillo che esprime il principio di libertà su cui si fondala volontà di uno Stato democratico, aperto alla collaborazione internazionale e vicino ai cittadini, in particolare ai giovani, per assicurare loro le migliori condizioni per la costruzione di un futuro nutrito di pace, giustizia e coesione sociale.
Il Presidente del Gruppo Capitolino, Dott. Giovanni Quarzo, dopo aver aperto l’incontro recando alla platea i consueti saluti di benvenuto, ha introdotto gli ospiti: il giornalista e storico Ruggiero Capone, moderatore dell’evento, l’Ing.Francesco Garibaldi Hibbert, discendente diretto di Giuseppe e Anita Garibaldi, e Presidente dell’omonima Fondazione, il Dott.Alessandro Quagliola, delegato per Roma e l’Italia centrale dell’Associazione Le Souvenir Napoleonien e la giornalista Prof.ssa Augusta Busico.
Richiamata l’attenzione sul tema del Tricolore, quale espressione della passione civile del popolo italiano, dello spirito di sacrificio e della capacità di donarsi al prossimo, come bandiera dei nostri militari impegnati nelle missioni di pace ed emblema dei nostri diplomatici nella difesa dell’interesse nazionale, il moderatore introduce il primo relatore.
Prendendo le mosse dalla recente commemorazione, il 7 gennaio scorso, del 226° anniversario della nascita del primo tricolore d’Italia, la Prof.ssa Augusta Busico, dopo aver tratteggiato per sommi capi gli eventi storici che condussero alla nascita della bandiera, ha ricordato che la data individuata per tale celebrazione[1] è il giorno stesso in cui il tricolore venne scelto per accompagnare e ispirare il cammino del popolo italiano. L’emblema della nostra Patria nacque, infatti, il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia quando i Costituenti, su proposta del deputato Compagnoni, individuarono nel Tricolore il vessillo della Repubblica Cispadana e il simbolo della loro unità. Il Parlamento della Repubblica Cispadana decretò infatti “che si rend[esse] universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si us[assero] anche nella Coccarda Cispadana”.
Sotto i colori rosso, bianco e verde si compirono le gesta del Risorgimento per la realizzazione dell’Unità d’Italia. Ma perché proprio quei tre colori?
La riflessione sui motivi del tricolore e della scelta di quei tre colori ha guidato poi la Prof.ssa Busico al richiamo delle numerose repubbliche giacobine che tra il 1796 e il 1799, in un’Italia attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, furono edificate sulle macerie dei vecchi Stati assoluti in cui la penisola era frazionata(la maggior parte di esse non sopravvisse alla controffensiva austro-russa del 1799; altre confluirono, invece, nel Regno Italico che sarebbe durato fino al 1814). Rappresentando la prima espressione di quegli ideali di indipendenza che alimentavano il nostro Risorgimento, fu proprio in quegli anni che venne avvertita l’esigenza di una bandiera da percepire non più come simbolo dinastico o militare, ma come emblema del popolo, delle libertà conquistate, della nazione stessa. Le varie repubbliche adottarono infatti, seppur con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre bande di uguali dimensioni, la cui ispirazione francese è ormai acclarata: la Repubblica Anconetana, per esempio, aveva un tricolore orizzontale blu, giallo, rosso; la Repubblica Romana un tricolore verticale nero, bianco e rosso; la Repubblica Partenopea un tricolore verticale blu, giallo e rosso. Anche i reparti militari italiani, costituiti all’epoca per affiancare l’esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. Il bianco, rosso e verde vennero adottati, dapprima, nei vessilli reggimentali della Legione Lombarda (il bianco e il rosso comparivano nell’antichissimo stemma comunale di Milano -croce rossa su campo bianco- mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese), successivamente, negli stendardi della Legione Italiana. Presumibilmente fu proprio questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera composta di tre bande orizzontali con il rosso in alto, mentre al centro, nella banda bianca, campeggiava lo stemma della Repubblica: un turcasso contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro e ornato da un trofeo di armi, con le lettere R e C ai lati. Alla nascita nel 1797 della Repubblica Cisalpina, frutto della fusione delle repubbliche Transpadana e Cispadana, un decreto del maggio 1798 stabiliva che la bandiera della Nazione Cisalpina fosse costituita da tre bande parallele all’asta, la prossima all’asta, verde, la successiva bianca, la terza rossa. Nel 1848 una nuova ondata rivoluzionaria interessò l’Europa e il Tricolore fu usato durante tutti i moti che ebbero luogo sul territorio italiano. Anche Carlo Alberto di Savoia adottò il Tricolore come bandiera ufficiale dello Stato di Sardegna: la bandiera sabauda era composta di tre bande verticali con al centro lo stemma di Casa Savoia, uno scudo rosso con una croce bianca. Con la proclamazione del Regno d’Italia del 1861, l’emblema dell’Italia unita continuò ad essere quello della prima guerra d’indipendenza, per quanto non ufficialmente normato da alcuna legge: la mancanza di una apposita disciplina legislativa -emanata soltanto per gli stendardi militari- condusse alla realizzazione di vessilli di foggia diversa dall’originaria, spesso addirittura arbitrari.
Durante il regime fascista (1922-1943), Mussolini propose di aggiungervi il fascio littorio, ma la proposta fu rifiutata dal re Vittorio Emanuele III che decise di realizzare a forma di fascio solo la parte terminale dell’asta.
Con l’instaurazione della Repubblica a seguito del referendum del 2 giugno 1946, un decreto del Presidente del Consiglio stabiliva di rimuovere dalla banda bianca lo stemma dei Savoia e la bandiera assunse l’aspetto attuale. La decisione di eleggere il Tricolore come bandiera nazionale della neonata Repubblica Italiana fu ratificata nel marzo 1947 dall’Assemblea Costituente che ne decretò l’inserimento nell’art.12 della Carta costituzionale, che così recita: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
Con riferimento al suo illustre precedessore, l’Ing. Francesco Garibaldi Hibbert ricorda che nel 1835 il vessillo verde, bianco e rosso della Giovine Italia, fu portato da Garibaldi anche in America latina nell’intento di propagandare gli ideali mazziniani, mentre le bandiere tricolori che nel 1860 accompagnarono la spedizione dei Mille erano in genere frutto di produzioni improvvisate che, in assenza della definizione di un’insegna ufficiale, avevano caratteristiche eterogenee. Alcune recavano lo Scudo dei Savoia sovrapposto al Tricolore italiano, in ossequio alle disposizioni del Re Vittorio Emanuele II: lo stesso Garibaldi aveva rassicurato il re piemontese sull’intenzione di condurre l’impresa al motto di “Italia e Vittorio Emanuele”. Anche il Tricolore regalato
da Giuseppe Garibaldi al Capitano John Whitehead Peard per la collaborazione inglese durante le campagne militari del 1859-1860, oltre alla Croce sabauda al centro della banda bianca, riportava, da un lato, la scritta Victor Emanuel e, dall’altro, quella di Italy Garibaldi. Esisteva una forte complicità tra il Re Vittorio Emanuele II e il Generale Garibaldi. Dedizione, rispetto e fedeltà erano i sentimenti che il Generale nutriva nei confronti del Re, e ciò contribuì a determinare un legame sempre più stretto tra la storia di Casa Savoia e quella dell’unità istituzionale e civile della nazione italiana. D’altronde entrambi -popolari, affabili e leali– erano uniti da uno straordinario e comune amore per l’Italia.
Dopo aver illustrato gli scopi de Le Souvenir Napoleonien, la più importante associazione napoleonica in Europa che opera nell’intento di studiare e far conoscere le istituzioni, i luoghi, gli eventi e le persone che hanno fatto la storia del Primo e del Secondo Impero, il suo delegato Dott.Quagliola ha ricordato sommariamente le gesta del Bonaparte: la sua discesa in Italia tra il 1796 e il 1799 quando i filo-giacobini italiani, fondate le nuove repubbliche, innalzavano alternativamente il tricolore francese e quello italiano; la sua acclamazione nel 1801 come Presidente della prima Repubblica Italiana, quando come insegna adottò un tricolore dalla foggia strana, un drappo quadrato a fondo rosso, in cui era inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde, che rimase invariato sino al 1805, anno in cui Napoleone trasformò la Repubblica italiana in Regno d’Italia e fu incoronato sovrano d’Italia con la corona ferrea dei re Longobardi; la sua volontà, con il nuovo Regno Italico, di inserire nella bandiera, al centro del drappo rettangolare, l’aquila imperiale con lo stemma di Stato, la cui identità venne mantenuta fino al 1814 quando l’astro napoleonico cominciò a declinare.
In chiusura di serata lo sguardo è stato rivolto alla nostra storia contemporanea accompagnato da un’importante riflessione sugli eventi che la connotano.
Per poter plasmare la Nazione del futuro in quella in cui vorremmo vivere per sempre, una società fondata su pace, libertà, rispetto, solidarietà e resilienza, è necessario che il Tricolore continui a nutrire i nostri cuori di quel patrimonio di valori che sono solennemente sanciti dalla nostra Carta costituzionale di cui quest’anno è stato celebrato il 75° anniversario della sua entrata in vigore. Libertà, solidarietà ed uguaglianza sono i valori sui quali da sempre si fonda la nostra Patria: valori imperituri che rappresentano la linfa cui poter attingere ancora oggi per affrontare la turbolenta fase di insicurezza in cui versa la nostra Nazione, sconvolta da una pandemia ancora irrisolta, un conflitto lacerante nel cuore dell’Europa, una rivoluzione climatica spesso incontrollata e una paralizzante crisi economica. Ma, soprattutto, stordita da quelle spirali di odio e di violenza di cui ultimamente si infittiscono le cronache.