Intervento del Presidente Napolitano

Intervento del Presidente Napolitano in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dello Sbarco dei Mille

Marsala, 11/05/2010

 stendardo

Sono felice di essere qui perché solo se si tocca nel profondo la realtà popolare di una città come la vostra, si può cogliere il calore del sentimento nazionale, il calore del senso di appartenenza all’Italia unita che vi ispira e che vi può guidare nel futuro. Grazie per questa splendida, così calorosa, siciliana accoglienza.

Il 5 maggio abbiamo ricordato la partenza dallo scoglio di Quarto della spedizione dei Mille, rendendo omaggio alla figura di Garibaldi e alla schiera dei suoi volontari, all’audacia dell’impresa che aprì la fase conclusiva del lungo percorso del movimento per l’Unità d’Italia. Oggi siamo qui per rievocare il ruolo della Sicilia nel compimento del processo di unificazione nazionale. Senza la Sicilia e il Mezzogiorno non si sarebbe certo potuto considerare compiuto quel processo, non si sarebbe potuto far nascere uno Stato che rappresentasse pienamente la nazione italiana e che si ponesse, in pieno Ottocento, tra i maggiori Stati europei.

E la Sicilia non fu passivo teatro della spedizione garibaldina. Quella stessa spedizione non vi sarebbe stata se dalla Sicilia non fossero giunti i segni del possibile successo dell’impresa. I dubbi, le esitazioni di Garibaldi fino alla vigilia della partenza da Quarto riflettevano la sua ferma convinzione che non si potesse correre il rischio di un nuovo disperato tentativo di azione armata nel Mezzogiorno, in vista di una sollevazione rivoluzionaria, che come quella guidata nel 1857 da Carlo Pisacane fallisse tragicamente anche per l’ostilità incontrata nella popolazione.

In effetti, dalla Sicilia, in quell’aprile del 1860, erano giunti i segni di una crescente aspettativa e predisposizione per un possibile congiungersi del movimento nazionale unitario con la volontà di ribellione della Sicilia contro il dominio borbonico. Il momento culminante fu toccato, a Palermo, con lo scontro al Convento della Gancia, e anche se le notizie sull’esito di quello scontro furono all’inizio, per essere poi smentite, di completo insuccesso, prevalse infine la valutazione che si potessero riscontrare in Sicilia condizioni favorevoli per la riuscita della spedizione. Per quella decisione, per quella spedizione, si erano spesi, con Garibaldi, i siciliani Francesco Crispi, Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa.

E rimane un fatto storicamente indiscutibile – al di là di ogni varietà di accenti tra gli studiosi – che ben prima dell’aprile 1860, quando comunque l’insurrezione soffocata alla Gancia si estese ai paesi vicini della provincia di Palermo, ben prima, a partire dall’estate-autunno 1859, si erano venuti moltiplicando i fermenti rivoluzionari e i moti contadini in Sicilia. Lo sbarco di Garibaldi e dei Mille si giovò di quel clima, e suscitò a sua volta un più ampio fenomeno insurrezionale. Come hanno scritto storici di diverse tendenze, “per la prima volta una regione italiana – e fu la Sicilia – insorgeva di sua iniziativa contro il regime esistente” e ciò creò “una situazione del tutto nuova” per il movimento unitario su scala nazionale; “la Sicilia fece sì che il sogno pluridecennale dell’iniziativa meridionale del Risorgimento diventasse realtà”.

E restano le parole indirizzate da Garibaldi ad un amico il 4 maggio: “L’insurrezione siciliana porta nel suo grembo i destini della nostra nazionalità”. Sulla via della Sicilia decisiva fu la sosta a Talamone, per acquisire armi e munizioni e per dare un’organizzazione militare ai volontari che erano stati a Quarto imbarcati alla rinfusa. Vennero lì raggruppati in 8 compagnie, facenti capo a 2 battaglioni, uno dei quali al comando di Nino Bixio e l’altro al comando del siciliano Giacinto Carini.

Lo sbarco a Marsala avvenne senza perdite anche grazie alla buona sorte. Se l’improvvisa comparsa nelle strade di questa città della singolare, variopinta schiera dei Mille, colse di sorpresa ed estranea la popolazione, già ben più calorosa fu l’accoglienza a Salemi. Lì Garibaldi compie l’atto solenne con cui dichiara di assumere la dittatura della Sicilia in nome dell’Italia e di Vittorio Emanuele II. E tutto sarebbe radicalmente cambiato dopo la battaglia di Calatafimi ; sull’onda della straordinaria prova di abnegazione e capacità di vincere dei garibaldini – condotti al successo contro soverchianti forze borboniche, in sei ore di duri combattimenti, dal genio di condottiero e dal personale coraggio di Garibaldi – l’entusiasmo dilagò in tutta la Sicilia ; e sempre più consistente si fece l’apporto delle squadre di “picciotti” che insorsero combattendo insieme ai Mille fino alla dura battaglia e al trionfo di Palermo. No, la Sicilia non fu passivo teatro di un’offensiva liberatrice condotta da altri ; essa espresse forze proprie per affrancarsi da un regime che da tempo sentiva nemico, e contribuì decisamente a uno storico balzo in avanti del movimento per l’Unità italiana.

In quella mobilitazione di strati importanti della società siciliana, pesò in modo determinante la svolta che si era prodotta nelle classi dirigenti, nei ceti proprietari. La svolta, cioè, che ne segnò il passaggio, da un orientamento mirante alla completa indipendenza statuale siciliana, a un’adesione piena all’obbiettivo dell’unificazione nazionale italiana sotto l’egida del Regno del Piemonte. La crescente insofferenza e reazione verso una prassi accentratrice e uniformatrice della monarchia borbonica che reggeva il Regno delle Due Sicilie, si era così incanalata nell’alveo di quel più ampio indirizzo e movimento reale che Garibaldi aveva riassunto nella formula “Italia e Vittorio Emanuele” come bandiera della stessa spedizione dei Mille.
La Sicilia già protagonista della Rivoluzione del 1848 si fece così protagonista della fase risolutiva della lotta per l’Unità italiana.

Le celebrazioni del 150° anniversario della fondazione del nostro Stato nazionale offrono dunque l’occasione per mettere in luce gli apporti della Sicilia e del Mezzogiorno a una storia comune e ad una comune cultura, che affondano le loro radici in un passato plurisecolare, ben precedente lo sviluppo del processo di unificazione statuale della nazione italiana. Di quel patrimonio, culminato nelle conquiste del 1860-1861, possiamo come meridionali essere fieri : non c’è spazio, a questo proposito, per pregiudizi e luoghi comuni che purtroppo ancora o nuovamente circolano, nell’ignoranza di quel che il Mezzogiorno, dando il meglio di sé, ha dato all’Italia in momenti storici essenziali.

E’ nello stesso tempo necessario che in un bilancio critico del lungo periodo che ha seguito l’unificazione d’Italia, non si coltivino nel Mezzogiorno rappresentazioni semplicistiche delle difficoltà che esso ha incontrato, dei prezzi che ha pagato, per errori e storture delle politiche dello Stato nazionale nella fase della sua formazione e del suo consolidamento.

Il ripescare le vecchissime tesi (perché vecchissime sono) – come qualche volta si sente fare – di un Mezzogiorno ricco, economicamente avanzato a metà ‘800, che con l’Unità sarebbe stato bloccato e spinto indietro sulla via del progresso, non è degno di un approccio serio alla riflessione storica pur necessaria. E non vale nemmeno la pena di commentare tendenze, che per la verità non si ha coraggio di formulare apertamente, a un nostalgico idoleggiamento del Regno borbonico.

Si può considerare solo penoso che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell’Unità, negando il salto di qualità che l’Italia tutta, unendosi, fece verso l’ingresso a vele spiegate nell’Europa moderna. Mentre chi si prova a immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio. Nel buio, intendo dire, di un mondo globalizzato, che richiede coesione degli Stati nazionali europei entro un’Unione più fortemente integrata e non macroregioni allo sbando. Lasciamo scherzare con queste cose qualche spregiudicato giornale straniero.

A pregiudizi e luoghi comuni contro il Mezzogiorno, la sua storia e anche la sua travagliata e complessa realtà attuale, tutte le forze rappresentative delle regioni meridionali debbono però opporre un sereno riconoscimento delle insufficienze che esse hanno mostrato in decenni di autogoverno. E’ oggi all’ordine del giorno, in attuazione del Titolo V, riformato nel 2001, della Costituzione repubblicana, un più conseguente sviluppo delle autonomie secondo un’ispirazione federalista. Il riconoscimento di un’autonomia speciale alla Regione Siciliana fu, nel 1946, non solo la risposta a una storica aspettativa della Sicilia, frustrata all’indomani dell’Unità d’Italia, ma l’apertura di un nuovo capitolo di promozione, in tutto il paese, delle autonomie come perno della Repubblica una e indivisibile. Ebbene, possiamo dirci soddisfatti, da meridionali, del modo in cui ci siamo avvalsi di quella preziosa leva che sono state le Regioni a statuto speciale e a statuto ordinario?

Non è la prima volta che lo dico, e sento il bisogno di ripeterlo ; le critiche che è legittimo muovere in modo argomentato e costruttivo agli indirizzi della politica nazionale, per scarsa sensibilità o aderenza ai bisogni della Sicilia e del Mezzogiorno, non possono essere accompagnate da reticenze e silenzi su quel che va corretto, anche profondamente, qui nel Mezzogiorno, sia nella gestione dei poteri regionali e locali e nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche, sia negli atteggiamenti del settore privato, sia nei comportamenti collettivi. E parlo di correzioni essenziali anche al fine di debellare la piaga mortale della criminalità organizzata che è diventata una vera e propria palla di piombo al piede della vita civile e dello sviluppo del Mezzogiorno.

Nello stesso tempo si deve chiedere a tutte le forze responsabili che operano nel Nord e lo rappresentano, di riflettere fino in fondo su un dato cruciale : l’Italia deve nel prossimo avvenire crescere di più e meglio, ma può riuscirvi solo se crescerà tutta, se crescerà insieme, solo se si metteranno a frutto le risorse finora sottoimpiegate, le potenzialità, le energie delle regioni meridionali.

Siano dunque le celebrazioni del 150° del nostro Stato nazionale, l’occasione per determinare un clima nuovo nel rapporto tra le diverse realtà del paese, nel modo in cui ciascuna guarda alle altre, con l’obbiettivo supremo di una rinnovata e più salda unità. Unità che è, siamone certi, la sola garanzia per il nostro comune futuro e in modo particolare, giovani di Marsala, la sola garanzia per il vostro futuro.