Celebrazioni Siracusane del 150° dell’Unità d’Italia

Ott 14th, 2010 | di | Categoria: In evidenza
 

Il “caso” Garibaldi – Passioni e conflitti a 150 anni dall’Unità d’Italia.

Questo il titolo della conferenza aperta del primo ottobre scorso, organizzata dalla Società Siracusana di Storia Patria di concerto con lo Studio legale Giuliano e ospitata nella sala conferenze di Palazzo Impellizzeri a Siracusa.

 
Foto di gruppo di alcuni partecipanti al corteo al Foro Italico di Siracusa davanti al monumento di Garibaldi. Accanto ad Anita Garibaldi, con la bandiera, l'avvocato Corrado Giuliano.

Foto di gruppo di alcuni partecipanti al corteo al Foro Italico di Siracusa davanti al monumento di Garibaldi. Accanto ad Anita Garibaldi, con la bandiera, l'avvocato Corrado Giuliano.

Giuseppe Garibaldi è un personaggio che non può lasciare indifferenti né gli storici di professione né il semplice curioso o appassionato di storia, anzi la sua “popolarità” travalica l’età risorgimentale e assume connotazioni quasi mitiche capaci di interessare anche l’uomo della strada. A 150 anni dall’Unità d’Italia, a maggior ragione, si moltiplicano incontri, pubblicazioni, opere cinematografiche e teatrali che ripercorrono un vero e proprio “mito di fondazione” della nostra identità nazionale.

Il “caso” è anche quello di Capo d’Orlando – ed è cronaca recente:siamo nel 2008 – , del sindaco della cittadina e della targa dedicata a Giuseppe Garibaldi. Il provvedimento del Tar di Catania ha stabilito l’illegittimità del provvedimento del sindaco ed ha indirettamente dimostrato, se ce ne fosse bisogno, la bruciante attualità della figura di Garibaldi.

Il dibattito, coordinato dall’avvocato Corrado V. Giuliano, ha visto succedersi vari interventi.

L’avvocato Corrado Piccione, dalla nota passione per la storia e dalla pluridecennale esperienza forense, ha dispiegato la sua arte oratoria nel lumeggiare a grandi linee il cammino siciliano verso l’Unità, dalla Costituzione siciliana del 1812, la prima tale da potersi fregiare del nome di liberale, al 1848 e al 1860, ricordando il contributo di vite e intelligenze siracusane alla lotta per la liberazione dai Borboni. Piccione, da autentico cultore della storia patria, ha proposto all’attenzione e alla memoria dei concittadini spesso dimentichi le figure, tra le altre, di Vincenzo Statella, G. Mancarella, S. Tringali, Murè; di Francesco Algerini e di Sebastiano Oliveri, camicia rossa a soli sedici anni, morto a Milazzo; ha ripercorso la nascita delle società operaie, tra cui proprio quella che ebbe in Giuseppe Garibaldi il proprio presidente a vita.

Il professor Adorno ha invece riflettuto sulla costruzione ed autocostruzione del “mito” Garibaldi, parallela a quella del mito risorgimentale: da Crispi a Craxi la figura del patriota nizzardo è stata soggetto e oggetto di biografie più o meno agiografiche, di interpretazioni a volte contrastanti, di fraintendimenti – consapevoli o inconsci – dovuti a diverse posizioni politiche e culturali. Garibaldi stesso, con le sue imprese sudamericane e poi con le lotte per l’indipendenza italiana, con le sue memorie a posteriori, con la sua vita al di fuori dagli schemi, ha contribuito all’autocostruzione del proprio “personaggio”, del mito di se stesso, che è compito degli storici indagare e illuminare appieno.

Il sindaco di Siracusa, l'avv. Corrado Piccione e Anita Garibaldi

Il sindaco di Siracusa, l'avv. Corrado Piccione e Anita Garibaldi

Gli anniversari precedenti (1911 e 1961) avevano messo in luce diversi aspetti del Risorgimento: Alfredo Oriani a cinquant’anni dall’Unità parlava di Risorgimento come fenomeno elitario, della gestione burocratico-amministrativa della Nuova Italia in mano a toscani e piemontesi che aveva soffocato la spinta ideale e le passioni propulsive che avevano infiammato i patrioti. Piero Gobetti aveva lucidamente meditato sulla mancata modernizzazione del paese e sulla sua abdicazione alla laicità. Nel 1961 – pensiamo a libri come “Il Risorgimento in Sicilia” di G. Romeo – prevalse invece una lettura marxista, meglio ancora gramsciana, del Risorgimento, inteso come rivoluzione passiva e mancata, come occasione perduta per la borghesia (ribaltando completamente l’idea crociana di Risorgimento come capolavoro). L’Italia del boom economico rivelava così la sua matrice diremmo antirisorgimentale, non ponendo la necessaria attenzione sulla costruzione dell’idea di nazione, di comunità, né sulla componente ideale del Risorgimento.

“Sine ira et studio” oggi possiamo studiare il Risorgimento affermando pacificamente che le imprese garibaldine e più in generale il processo di unificazione non diedero risposta alla manchevole o inesistente integrazione delle classi subalterne, oltre a non districare il nodo gordiano della questione Nord/Sud e dei rapporti tra Stato laico e mondo cattolico. Adorno ha citato Lucio Villari ed il suo recente saggio “Bella e perduta” (chiaro il richiamo alla poesia ottocentesca e soprattutto all’opera lirica, vero fil rouge del patriottismo italiano, elitaria e popolare insieme), sottolineando la piemontesizzazione della cultura della sinistra e il tiepido scetticismo della destra, passando per il fascismo e Gentile – per lo Stato “etico” Mazzini, il Risorgimento e la “religione” politica identitaria costituirono elementi basilari per la costruzione della dimensione simbolica della nazione.

Paradossalmente questo è l’identico cammino percorso dagli attuali nazionalismi regionali, basati sulle comunità territoriali e sul riferimento ad un linguaggio condiviso, spesso simbolico, ai “miti”: pensiamo alla Lega lombarda con il Po, il sole delle Alpi, l’idea di Padania…

Un rappresentante della Capitaneria di porto offre un omaggio ad Anita Garibaldi.

Un rappresentante della Capitaneria di porto offre un omaggio ad Anita Garibaldi.

Adorno ha fatto riferimento anche a Banti, a Paul Ginsburg, alla “Storia d’Italia” Einaudi parlando di lettura culturalista del Risorgimento: se pensiamo a Jacopo Ortis, alla nazione come parentela, come summa di legami affettivi, naturali, storici, comunque prepolitici, se pensiamo a Mazzini, all’idea della nazione come donna, all’eroe come suo difensore – i Vespri siciliani insegnano – contro il nemico, ai concetti di amore, virtù e onore, a “Fratelli d’Italia”, comprendiamo la dimensione antropologica del Risorgimento, la sua tensione primordiale, il suo sostrato culturale, che poi si traducono in azione con Mazzini e specialmente con Garibaldi e il suo mito.

L’avvocato Giovanni Randazzo ha parlato delle opacità e delle incompiute del Risorgimento: l’epopea avventurosa dei “variovestiti” si contrappone alla questione di Roma e Venezia, ai conflitti per le terre demaniali, alle ambiguità che accompagnarono e seguirono la spedizione garibaldina. Basti rileggere le pagine de “Il Gattopardo”, de “I viceré”, de “I vecchi e i giovani” per avere la misura della delusione, dello scontento magistralmente descritti da Tomasi di Lampedusa, De Roberto, Pirandello, per non parlare di Verga.

Interessante l’intervento del professore Salvatore Santuccio che ha tratteggiato la situazione politica siracusana nel 1860, tutt’altro che univoca e compatta nella reazione e nella partecipazione ai moti garibaldini: Pancali, liberale, si contrapponeva ai democratici Rizza e Chindemi; timori e speranze, incertezze e maneggi si risolsero poi nel plebiscito che contò 3523 e un solo no all’annessione al Piemonte.

Dopo un dibattito che si è acceso sui temi dell’autonomia siciliana e su certe posizioni “revisioniste” che fanno risaltare le molte ombre della spedizione garibaldina – invasione più che liberazione? Bronte come modello della considerazione garibaldina nei confronti dei siciliani? – , particolarmente emozionante è risultato l’intervento della dottoressa Anita Garibaldi.

Già il solo nome evoca la storia familiare: la dottoressa, giornalista e saggista, presidente della Fondazione Giuseppe Garibaldi, è infatti figlia di Ezio, console e generale della milizia, e nipote di Ricciotti, figlio di Giuseppe Garibaldi.

Anita Garibaldi ha ripercorso la fulminea spedizione del bisnonno – tra Marsala e Teano corrono solo pochi mesi – sottolineando i valori e gli ideali che la sottintendevano e ricordando che in Sicilia, terra meravigliosa che considera come la propria seconda patria, si fondono il diritto romano e la filosofia dell’amore cristiano. La pronipote del Nizzardo ha rammentato la modernità del pensiero di Garibaldi, che pensò all’istituzione di un tribunale internazionale, fondò la prima Società per la difesa degli animali – raccogliendo le istanze degli inglesi, sensibili su questo argomento – e parecchie Società di mutuo soccorso, citando anche alcune delle sue letture (la nonna Costanza, nuora di Garibaldi, presente alla sua morte, notò sul comodino del suocero i volumi di Adam Smith ed Hegel) ed evidenziando che la libertà era il modo in cui Garibaldi concepiva la vita. Questo amore per la libertà proveniva dall’essere non tanto un condottiero quanto soprattutto un marinaio – pensiamo ai brevetti conseguiti a Nizza e a Camogli – che navigando pensava e soprattutto viveva la libertà dello spirito, dal Mar Nero al Mediterraneo, da Odessa ad Istanbul a Taganrog…

L’approccio della dottoressa Garibaldi è stato improntato alla cordialità e alla condivisione dei ricordi d’infanzia: particolarmente simpatico l’episodio di Rosolino Pilo, amato in effigie da un’Anita Garibaldi bambina.

Le rivolgiamo qualche domanda.

 

Il suo cognome è un’eredità importante. Qual è il suo rapporto con un cognome che evoca ancora passioni contrastanti?

 

Lei è autrice di un saggio – edito da “Il saggiatore” sulle donne di casa Garibaldi, “Nate dal mare”. Può dirci qualcosa delle donne della sua famiglia? Come vivevano il loro difficile ruolo?

 

Come presidente della Fondazione Giuseppe Garibaldi, può parlarci delle attività che svolge?

 

Il 2 ottobre la cittadinanza siracusana ha reso omaggio al busto di Garibaldi posto alla Marina. Com’è stata l’accoglienza siciliana e siracusana in particolare nei suoi confronti?

 

Cosa sente di poter dire ai giovani che spesso ignorano la storia e l’epopea risorgimentale che hanno dato vita alla nazione italiana?

 

Maria Lucia Riccioli

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